Shigoto. Lavoro, qualità totale e rivoluzione industriale giapponese
di Cristiano Martorella
8 dicembre 2002. Si è scritto molto, forse troppo e in modo confuso, sulla qualità totale inserendo questo concetto in contesti spesso inopportuni (ad esempio la scuola) e mancando la comprensione del fenomeno autentico e affidandosi alla sua rappresentazione. Alcuni hanno sostenuto che i giapponesi avrebbero copiato come al solito dagli occidentali, ovvero dalle idee di Edwards Deming, il primo teorico della qualità totale. Questo è falso perché le intuizioni di Deming sono state accolte dai giapponesi e sviluppate in un modo che l’autore non avrebbe mai immaginato. Inoltre la qualità totale è divenuta nelle aziende giapponesi qualcosa di assolutamente contestualizzato alla situazione storica e culturale del paese, tanto da essere ancora oggetto di studio. E ciò risulta vero dall’osservazione delle difficoltà occidentali nell’imitare le tecniche giapponesi (1). Infatti i giapponesi usano il termine autoctono kaizen (miglioramento) in sostituzione del termine qualità totale, così da caratterizzare meglio la novità da loro apportata. E vedremo di quale rivoluzione si tratta.
Shigoto significa in giapponese lavoro. Ed è appunto il cambiamento nelle condizioni e nell’organizzazione del lavoro ad aver segnato lo sviluppo industriale e l’ascesa del capitalismo. Nella storia economica si indicano due rivoluzioni industriali avvenute in Europa. La prima avvenuta intorno al 1760 vide il passaggio dall’industria domestica alla fabbrica attraverso l’introduzione di nuovi macchinari (filatoio meccanico, macchina a vapore, laminatoio, etc.) e maturò nel periodo dal 1815 al 1840 grazie allo sfruttamento dell’energia termica ricavata dal carbone. La seconda rivoluzione industriale incominciò intorno al 1890 e fu favorita da una serie di innovazioni tecnologiche (il motore a combustione interna, il motore elettrico, etc.) e lo sfruttamento dell’energia elettrica e dell’energia termica ricavata dagli idrocarburi, indispensabili anche nella chimica. L’industria subì un’ulteriore trasformazione con l’introduzione della produzione a catena di montaggio di tipo fordista.
Fin qui abbiamo tracciato il quadro descritto nei libri di storia, ma esiste una storia che non è ancora ufficiale nonostante sia stata registrata da molti studiosi: la rivoluzione industriale giapponese.
La terza rivoluzione industriale avvenne intorno al 1974 con l’introduzione della produzione just in time e della qualità totale di tipo Toyota, e maturò grazie allo sfruttamento dell’informatica e delle tecnologie dei semiconduttori. La rivoluzione industriale giapponese segna anche il passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione poiché integra i processi produttivi nel nuovo sistema sociale.
Così come le prime due rivoluzioni industriali avvennero per rispondere ai gravi periodi di crisi economica, anche la terza fu la risposta a una seria crisi, quella petrolifera del 1973. All’epoca il Giappone, a differenza degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, non aveva nemmeno risorse petrolifere sul proprio territorio ed era in balìa dei rifornimenti stranieri. Non potendo eliminare questa dipendenza, gli industriali nipponici sollecitarono una ristrutturazione che permettesse la produzione anche in periodo di crisi. Il modello americano sul tipo di Henry Ford (1863-1947) fu abbandonato a favore del modello giapponese di Toyoda Kiichiro. Il concetto di lavoro (shigoto) fu rivisitato completamente.
Cominciamo con ordine stabilendo alcuni punti fondamentali per inquadrare quest’ultima rivoluzione industriale. Sono due i punti essenziali da ponderare:
- il rovesciamento della logica del marketing;
- la trasformazione dell’industria in un sistema informatico.
I sociologi hanno colto meglio il significato della rivoluzione industriale giapponese che era soprattutto concentrata nell’organizzazione del lavoro, e perciò sensibilmente trascurata dagli economisti attenti ai dati macroeconomici e dagli storici interessati alla cronaca. La comprensione riguardava piuttosto la psicologia sociale e le scienze sociali (2). I sociologi hanno dunque indicato quei cambiamenti nel lavoro che essi definiscono come avvento del postfordismo (altri chiamano questo nuovo modo di produrre come toyotismo, dal nome dell’azienda giapponese Toyota che lo introdusse per prima). Questi cambiamenti si articolano in diverse tecniche dell’organizzazione del lavoro. La qualità totale sostituisce la produzione in linea, basata sulla catena di montaggio, con le isole di produzione o circoli di qualità. I singoli lavoratori non sono specializzati in poche ed elementari mansioni ma hanno più mansioni e una capacità di controllo sul processo produttivo. Il controllo è infatti interno e autogestito dai lavoratori. Nell’organizzazione taylorista (3) del lavoro, il controllo era esterno e basato sulla divisione tra chi lavora e chi controlla il lavoratore. L’azienda diventa una rete. L’azienda rete si differenzia dall’azienda piramide perché privilegia la fase di vendita rispetto alla fase di produzione. I contatti diretti con la clientela assumono un ruolo preminente e l’innovazione proviene da chi lavora operativamente. L’innovazione è proposta dalla base, e non c’è un vertice che pianifica il lavoro. L’informazione e le comunicazioni sono orizzontali piuttosto che verticali. La produzione just in time (nel tempo opportuno) tiene presenti le richieste dei compratori e basa la produzione, per quantità e qualità, sulla domanda del mercato. Vengono abolite le scorte di magazzino e introdotta la flessibilità dei processi lavorativi.
Complessivamente queste innovazioni sono integrate in un sistema che rende possibile sia il rovesciamento della logica del marketing sia la trasformazione dell’industria in un sistema informatico. E ciò avviene necessariamente insieme perché soltanto una gestione integrata dell’informazione può permettere la soddisfazione dei requisiti della qualità totale prima enunciati. Il rovesciamento della logica del marketing significa porre la soddisfazione del cliente come primaria. Invece di tentare di convincere gli acquirenti, bisogna venire incontro alle loro esigenze e abbandonare la concezione della produzione di massa standardizzata. Ogni processo produttivo deve essere flessibile e capace di apportare cambiamenti e miglioramenti (kaizen). Questo può avvenire soltanto in una fabbrica capace di comunicare istantaneamente le informazioni sui processi e le condizioni della produzione. Gli strumenti per far ciò sono il kanban (cartello) e lo andon (pannello). Si tratta di mezzi molto semplici ed elementari che hanno dimostrato quanto l’organizzazione del lavoro fosse importante, e semplici innovazioni basate sulla comunicazione divenissero determinanti. L’introduzione delle nuove macchine informatiche elettroniche esalta e accelera questa tendenza abbattendo le vecchie logiche e i vecchi dispositivi.
La rivoluzione industriale giapponese ha così trasformato la fabbrica in un sistema informatico ed ha liberato l’uomo dal lavoro meccanico, trasformandolo in un supervisore dei processi produttivi. Ciò avviene in un periodo storico che vede il passaggio dalla società industriale alla società post-industriale. Questa svolta epocale sarà ben compresa quando il passaggio alla società dei servizi e dell’informazione sarà completato.
Note
1. Si è arrivati addirittura a negare i successi giapponesi attribuendo il merito alle metodologie occidentali presumibilmente copiate. Eclatante il caso di un articolo di "Business Week" decisamente propagandistico e falso. Cfr. Dawson, Chester et alii, The Americanization of a Japanese Icon, in "Business Week", 15 aprile 2002, pp.26-30.
2. Recentemente molti manuali di sociologia hanno inserito paragrafi sulle innovazioni imprenditoriali giapponesi. Cfr. Ungaro, Daniele, Capire la società contemporanea, Carocci, Roma, 2001, pp.50-61.
3. Cfr. Taylor, Frederick, L’organizzazione scientifica del lavoro, Edizioni di Comunità, Milano, 1952.
Bibliografia
Deming, Edwards, What Top Management Must Do, in "Business Week", 20 luglio 1981, pp.19-21.
Drucker, Peter, Getting Control of Corporate Staff Work, in "The Wall Street Journal", 28 aprile 1981, p.24.
Imai, Masaaki, Kaizen. La strategia giapponese del miglioramento, Il Sole 24 Ore, Milano, 1986.
Ishikawa, Kaoru, Guide to Quality Control, Asian Productivity Organization, Tokyo, 1972.
Ishikawa, Kaoru, Che cos’è la qualità totale, Il Sole 24 Ore, Milano, 1992.
Ohno, Taiichi [Ono, Taiichi], Lo spirito Toyota. Il modello giapponese della qualità totale, Einaudi, Torino, 1993.
Pollard, Sidney, La conquista pacifica. L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, Il Mulino, Bologna, 1989.
Rifkin, Jeremy, La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Arnoldo Mondadori, Milano, 2002.
Taguchi, Genichi [Taguchi Gen'ichi], Introduzione alle tecniche per la qualità, Franco Angeli, Milano, 1991.
Tanaka, Minoru, Il segreto del kaizen, Franco Angeli, Milano, 1998.