giovedì 10 giugno 2010

Kisei kanwa, la deregulation

Kisei kanwa, la deregulation
Liberismo e libero mercato nell’economia giapponese
di Cristiano Martorella

20 dicembre 2002. Deregulation si dice in giapponese kisei kanwa. Un altro modo per dire deregulation è kisei teppai. C’è una leggera differenza fra le due espressioni. Kisei significa regolamentazione. Kanwa è un’attenuazione, mentre teppai è un’abolizione. Dunque i giapponesi preferiscono tradurre deregulation con kisei kanwa che ha il senso di una diminuzione delle regole, così come nel significato originale del termine deregulation (deregolamentazione).
Prima di trattare l’argomento in questione è necessaria una premessa. La società e l’economia giapponese hanno una propria specificità che si è realizzata attraverso il particolare sviluppo storico e culturale del paese. Tuttavia questa specificità non impedisce di inquadrare il Giappone in un contesto internazionale secondo le tematiche universali della politica e della sociologia. D’altronde il contrasto fra particolarità e universalità è un problema filosofico ancora dibattuto. Eppure nessuno studioso serio metterebbe in dubbio l’efficacia del metodo comparativo. La comparazione è uno strumento storiografico che serve a cogliere corrispondenze e differenze specifiche (1). Fu lo storico Noro Eitaro (1900-1934), autore di Nihon shihonshugi hattatsushi (Storia dello sviluppo del capitalismo giapponese) che dimostrò l’utilità del taglio comparativo capace di trattare i fenomeni giapponesi facendo uso di un linguaggio universale. E non possiamo dimenticare che il più autorevole sociologo, Max Weber (1864-1920), fu un tenace sostenitore nonché teorico e utilizzatore del metodo comparativo. Secondo Weber la spiegazione causale dei fenomeni culturali concerne la relazione individuale fra fenomeni storici e non la sussunzione di questi dentro un sistema di leggi generali, come avviene invece per le scienze naturali. Così si salva il carattere oggettivo e scientifico dell’indagine senza precludere la possibilità di stabilire relazione esplicative tra i fenomeni storici. Dunque non c’è motivo di dubitare della validità del metodo storico comparativo.
Il liberismo è la teoria economica che sostiene il vantaggio personale come unico e autentico stimolo per l’uomo ad operare in economia. Pertanto il sistema economico più consono sarebbe la libertà d’impresa o libera iniziativa. A livello macroeconomico il liberismo si esprime eliminando il protezionismo, le barriere doganali, i vincoli amministrativi, gli ostacoli tariffari, e favorendo viceversa il libero mercato. Inoltre sostiene la lotta contro i monopoli in favore della libera concorrenza.
Al liberismo possono essere associati i nomi di importanti economisti: Adam Smith, David Ricardo, William Jevons, Carl Menger, Vilfredo Pareto, Friedrich August Hayek, Milton Friedman e Maurice Allais.
Negli anni ’80 del XX secolo la dottrina liberista ebbe due eccezionali interpreti nel presidente statunitense Ronald Reagan e nel premier britannico Margaret Thatcher. Essi operarono su vasta scala e in modo intensivo proclamando la fiducia nel libero mercato. Margaret Thatcher smantellò lo stato assistenzialista (welfare state) che era causa di un forte indebitamento pubblico. La politica economica di Reagan chiamata "reaganomics" era fondata sulla diminuzione della pressione fiscale sulle imprese per favorire gli investimenti dei privati.
La deregulation (deregolamentazione) è una politica mirante alla trasformazione delle regole alle quali debbono sottostare le imprese in modo da renderle più libere di agire e rinforzare così la loro concorrenzialità. La deregulation fornisce anche la possibilità alle imprese private di entrare in settori precedentemente controllati dallo stato (per esempio i trasporti, le telecomunicazioni, i servizi pubblici).
Il premier Koizumi Jun’ichiro, eletto nel 2001, fu il primo politico giapponese a includere nel suo programma riforme liberiste che includevano una deregulation del mercato del lavoro. Ciò sollevò le preoccupazioni di un ampio strato della popolazione ormai abituata al posto fisso. Gli economisti giapponesi si pronunciarono senza riserve sulla questione della deregulation. Secondo Ohmae Kenichi (trascritto anche Omae Ken'ichi) il Giappone ha un debito pubblico insostenibile. Per superare questa impasse sarebbe necessario un batan (colpo). Bisognerebbe eliminare le banche e gli istituti finanziari in condizioni disastrate e accettare un elevato tasso di disoccupazione.

"Inoltre il governo giapponese dovrebbe ammettere la necessità di entrare in un lungo tunnel. Deregolamentando l’economia e lasciandosi catapultare nel tunnel, il Giappone potrebbe dare impulso alla produzione di nuova ricchezza. […] Perché il piano funzioni bisogna che il governo accetti l’idea di un aumento della disoccupazione fino a un tasso del 7-8% (forse anche con punte di oltre il 10%), che crea mobilità nel mercato del lavoro. […] In tutta onestà, la nostra famosa rete di sicurezza per i dipendenti garantisce troppa sicurezza, al punto che nessuno si muove." (2)

Questa posizione a favore della deregulation ha trovato numerosi oppositori in Giappone, in particolare gli economisti Tachibanaki Toshiaki e Ito Makoto che hanno indicato nella svolta liberista giapponese la causa delle crescenti disuguaglianze economiche e del disagio sociale.

"In ogni modo, attraverso questo processo di riforma economica e di ristrutturazione politica che ha l’obiettivo di creare un mercato sempre più competitivo all’interno di un sistema neoliberista, la società giapponese sta rafforzando la sua natura capitalistica di paese dipendente dalla grande impresa: una nazione che, per realizzare questi obiettivi, tende a opprimere le masse di lavoratori, combinando un mercato del lavoro sempre più competitivo a un sindacato sempre più debole. E se è vero che nei periodi di grande crescita il Giappone ha mostrato una tendenza verso un sistema di eguaglianza sociale economica, è anche vero che la tendenza si è invertita spostandosi verso un modello sempre più sperequato a vantaggio della popolazione ricca, della grande impresa, delle grandi banche più importanti e delle altre istituzioni finanziarie. In una ricerca statistica del 1998 Tachibanaki rivelava che l’indice di disuguaglianza nella distribuzione del reddito in Giappone era cresciuto rapidamente tra gli anni ’80 e ’90, e aveva superato sorprendentemente quello degli Stati Uniti. Questa trasformazione sociale del Giappone verso una crescita delle disuguaglianze sarà controproducente per la ripresa economica, anche se può essere considerato il risultato paradossale della riuscita ristrutturazione di un’economia capitalistica di mercato competitiva." (3)

Ito Makoto fornisce una interpretazione opposta al punto di vista di Ohmae Kenichi, ma è importante notare come egli riconosca l’esistenza della deregulation in Giappone. Entrambi gli autori descrivono la tendenza dell’economia giapponese al liberismo, ma mentre Ito Makoto la condanna, Ohmae Kenichi l’incoraggia. Un altro economista favorevole alla deregulation e al liberismo è Noguchi Yukio. Egli è un convinto assertore della necessità di riforme economiche eliminando l’impiego a vita, i salari in relazione all’anzianità di servizio e tutte quelle protezioni che impediscono la competizione. Dal punto di vista finanziario Noguchi critica la finanza pubblica centralizzata imperniata sulle imposte indirette e la protezione dei settori a bassa produttività. Insomma, egli propone la ricetta neoliberista di Reagan e Thatcher: chi non è in grado di sostenere la concorrenza deve fallire ed essere espulso dal mercato. Ogni tipo di assistenzialismo è eliminato. Noguchi Yukio è anche favorevole alla globalizzazione che considera un’occasione per competere sul libero mercato internazionale.
Non è facile destreggiarsi fra i diversi sostenitori delle teorie economiche. In questo senso sono utili le considerazioni di Sasaki Tadao che condanna la scellerata politica monetaria degli anni ’90.

"All’origine dell’inasprimento della crisi è il fallimento delle politiche economiche, ma è stata la ricetta monetarista che ha portato al restringimento dei cordoni della spesa pubblica, al rialzo delle tasse sui consumi di due punti percentuali nel 1997 […] Burocrati ed economisti della corrente maggioritaria, nel periodo successivo allo scoppio della bolla nel 1990, ignorarono l’opinione che fossero necessarie riparazioni di grande portata per i bad loans [prestiti inesigibili, ndr] a causa del carattere della crisi, determinata dal crollo dei prezzi delle attività finanziarie, e sostennero che fosse sufficiente proseguire la deregolamentazione mantenendo politiche di stimolo congiunturali operanti sugli aspetti di flusso dell’economia. L’idea che l’avvicinamento a un mercato ideale porti al rafforzamento dell’economia giapponese non è altro che ideologia dogmatica." (4)

Sasaki Tadao individua il nocciolo della questione. La fiducia nel libero mercato sembra un atto di fede piuttosto che la propensione razionale allo scambio utilitario (dottrina del liberismo di Adam Smith). Se la teoria liberista pone come condizione imprescindibile la libera concorrenza, possiamo porre lo stesso liberismo nel mercato delle idee economiche. Il fallimento delle politiche liberiste e della deregulation comporterà inevitabilmente il loro abbandono, altrimenti sarà il loro successo a decretarne la validità.

Note

1. Cfr. Hintze, Otto, Storia, sociologia, istituzioni. Introduzione di Giuseppe Di Costanzo. Morano Editore, Napoli, 1990, p.8.
2. Ohmae, Kenichi, Il continente invisibile, Fazi Editore, Roma, 2001, p.260.
3. Ito, Makoto, La crisi giapponese, in "La rivista del manifesto", n.19 luglio-agosto 2001.
4. Cfr. Collotti Pischel, Enrica (a cura di), Capire il Giappone, Franco Angeli, Milano, 1999, p.345.

Bibliografia

Drucker, Peter, La società post-capitalistica, Sperling & Kupfer, Milano, 1993.
Hammer, Michael e Champy, James, Ripensare l’azienda, Sperling & Kupfer, Milano, 1994.
Jenkins, Clive e Sherman, Barrie, The Collapse of Work, Eyre Methuen, London, 1979.
Ito, Makoto, The World Economic Crisis and Japanese Capitalism, Macmillan, London, 2000.
Rifkin, Jeremy, La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Arnoldo Mondadori, Milano, 2002.
Tachibanaki, Toshiaki, Nihon no keizai kakusa, Iwanami shoten, Tokyo, 1998.
Takahashi, Makoto, Toyota breaks new ground with cost-cutting system, in "The Nikkei Weekly", 23 settembre 2002, p.10.
Noguchi, Yukio, Senkyuhyakuyonjunen taisei, Toyo Keizai Shinposha, Tokyo, 1995.
Ohmae, Kenichi [Omae, Ken'ichi], Il continente invisibile. Oltre la fine degli stati-nazione: quattro imperativi strategici nell’era della Rete e della globalizzazione, Fazi Editore, Roma, 2001.
Ohmae, Kenichi [Omae Ken'ichi], Il mondo senza confini: lezione di management nella nuova logica del mercato globale, Il Sole 24 Ore, Milano, 1991.