venerdì 25 dicembre 2009

La Prima Guerra Mondiale

Saggio sul Giappone nella Prima Guerra Mondiale pubblicato dal sito Nipponico.com.


Prima Guerra Mondiale
L'impegno dell'Impero del Sol Levante
di Cristiano Martorella

1. Premesse e considerazioni sulla storiografia

17 febbraio 2008. L'intervento del Giappone nella Prima Guerra Mondiale, in giapponese Daiichiji sekai taisen, è poco ricordato nei libri di storia occidentali. Ciò avviene perché politicamente scomodo. Infatti risulta estremamente facile condannare il militarismo giapponese quando è schierato con gli avversari ed è sconfitto, mentre è difficile accusarlo quando è alleato delle nazioni democratiche occidentali ed è vittorioso. In realtà la potenza militare del Sol Levante fu sostenuta e incoraggiata dalle potenze europee quando si opponeva alle nazioni rivali come la Germania e la Russia, mentre divenne invece una insidia quando minacciò gli interessi occidentali nell'Estremo Oriente. Ciò appare evidente con la Prima Guerra Mondiale, quando il Giappone era schierato con la Gran Bretagna e la Francia. Insomma, si trattò di un uso strumentale che non teneva in alcuna considerazione la diffusione dei diritti civili, e non sostenne in modo adeguato la fragile democrazia giapponese aggredita dagli estremismi. Nei libri di storia occidentali si racconta che il Giappone fosse un paese autoritario che divenne democratico solo dopo la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale (1) nel 1945. Curiosamente questo stesso paese era alleato delle potenze occidentali nella Prima Guerra Mondiale, ossia già nel 1914. All'inizio del Novecento l'Impero del Sol Levante divenne una temibile potenza militare con il sostegno dell'Occidente fra il plauso e le lodi di tanti ammiratori, e anche parecchi aiuti materiali (2). Nel Giappone non vi era nulla di corrotto, lo era invece la mentalità dell'epoca che credeva nella forza degli eserciti e nel colonialismo come diffusione della civiltà. Questo saggio vuole raccogliere la descrizione puntuale e puntigliosa di alcuni eventi della Prima Guerra Mondiale ignorati dalla stampa. Ciascuno potrà poi trarne liberamente le dovute conseguenze cercando di conoscere la storia in modo completo e non lacunoso.


2. Il coinvolgimento politico e militare

Il coinvolgimento del Giappone nella Prima Guerra Mondiale fu abbastanza rapido. Ecco la cronologia degli eventi. A causa dell'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, l'Austria dichiara guerra alla Serbia il 28 luglio. Il giorno 1 agosto 1914, la Germania dichiara guerra alla Russia. Il 3 agosto la Germania dichiara guerra alla Francia, il 4 agosto la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania, e il 12 agosto all'Austria. Il Giappone, su sollecitazione della Gran Bretagna, dichiara guerra alla Germania il 23 agosto 1914, appena tre settimane dopo l'inizio delle ostilità. L'intervento del Giappone fu voluto dalla Gran Bretagna, anche se riluttante e timorosa per l'ascesa della potenza nipponica. D'altronde il ruolo del Giappone nell'Oceano Pacifico era cruciale. La più potente flotta nell'Oceano Pacifico era giapponese. Soltanto i giapponesi potevano bloccare le navi tedesche presenti nelle vicinanze delle colonie, e impedire la minaccia e l'attacco tedesco verso l'India e l'Indocina. La Gran Bretagna aveva firmato già molti trattati d'alleanza con il Giappone. Il trattato anglo-giapponese del 1902 era stato rinnovato nel 1905, eppoi nel 1911. Il Giappone garantiva la protezione dell'India, possedimento britannico, dalle mire espansionistiche di Germania e Russia. Ma gli accordi fra Gran Bretagna e Giappone disturbavano la potenza americana. Gli Stati Uniti volevano espandere la loro influenza anche in Asia, inoltre avevano gravi problemi di politica interna con gli immigrati giapponesi. Essendo ottima manodopera capace di avviare attività imprenditoriali, gli immigrati giapponesi disturbarono i locali cittadini statunitensi e i loro egoistici interessi. Si arrivò addirittura a promulgare aberranti leggi locali contro i giapponesi. I bambini giapponesi erano esclusi dalle scuole col pretesto della mancanza di aule. Col Webb Act votato nello stato di California nel 1913, si vietava ai cittadini giapponesi di possedere terre. Queste angherie accrebbero smisuratamente il senso d'inferiorità e la volontà di riscatto dei giapponesi fermamente decisi a confrontarsi sullo stesso campo di battaglia degli occidentali: lo sviluppo della potenza militare.


3. L'impiego della marina militare

Nel 1914 la Marina imperiale giapponese (Dainihon teikoku kaigun) era la forza navale più potente presente nell'Oceano Pacifico, superiore anche ai contingenti statunitensi e britannici (3). Essa era composta da 22 corazzate, 2 incrociatori da battaglia, 15 incrociatori corazzati, 19 incrociatori protetti, 50 cacciatorpediniere, 40 torpediniere e 13 sommergibili. Le unità (4) più importanti erano le navi da battaglia Kawachi, Settsu, Fuso, Yamashiro e Ise, gli incrociatori Kongo, Hiei, Haruna, Kirishima, Kurama, Izumo, Iwate e Ibuki, gli incrociatori leggeri Chikuma, Hirado, Yahagi e Tone, i cacciatorpediniere Umikaze, Yamakaze, Sakura, Tachibana, Urakaze. Durante il periodo 1914-1918 furono impostate e costruite nuove navi da guerra, più potenti e innovative. Esse erano le navi da battaglia Nagato e Mutsu, gli incrociatori Tatsuta, Kuma, Tama e Yubari, i cacciatorpediniere Kaba, Kaede, Katsura, Kashiwa, Kusunoki, Matsu, Sakaki, Sugi e Ume. Tutte queste navi furono rilevanti e pregevoli, tanto che alcune di esse parteciparono anche alla Seconda Guerra Mondiale. Le corazzate Fuso e Yamashiro, costruite rispettivamente negli arsenali di Kure e Yokosuka nel 1912 e 1913, erano navi dalle linee armoniose, con l'armamento ripartito in due gruppi, e la protezione con una blindatura laterale massima di 305 mm. Entrambe affondarono nella battaglia dello stretto di Surigao il 25 ottobre 1944. Gli incrociatori Kongo, Haruna, Hiei e Kirishima, costruiti nel periodo 1911-1915, parteciparono a entrambi i conflitti mondiali. Al loro ingresso in servizio suscitarono notevole impressione perché imbarcavano un armamento principale che non trovava riscontro su nessun'altra unità similare, con 8 cannoni da 356 mm. La protezione raggiungeva uno spessore di 203 mm. L'apparato motore si componeva di 4 turbine ad accoppiamento diretto, con una potenza di 64000 HP e una velocità di 27,5 nodi. Kirishima e Hiei affondarono nel novembre del 1942 nelle acque di Guadalcanal, il Kongo affondò il 21 novembre 1944 presso Formosa, e l'Haruna fu distrutto dal bombardamento aereo del 27 luglio 1945 sull'arsenale di Kure. Quando apparvero nel 1907, l'Ibuki e il Kuruma furono i più potenti incrociatori corazzati costruiti al mondo. Durante la Prima Guerra Mondiale parteciparono alle operazioni intorno a Tsingtao e alla caccia alla squadra navale di Maximiliam von Spee. L'Ibuki fu la prima nave giapponese a imbarcare un apparato motore a turbina. Ritenuti superati, Ibuki e Kuruma furono smantellati nel 1923. La Marina imperiale giapponese vantò anche un altro primato. Essa fu fra le prime, insieme a quella di Stati Uniti e Gran Bretagna (5), a possedere navi adibite al trasporto di aerei. La Wakamiya Maru era una nave appoggio in grado di trasportare quattro idrovolanti Farman. Varata nel 1913, questa unità era capace di depositare con le sue gru gli aerei in acqua per il decollo, eppoi recuperarli dopo l'ammaraggio. Gli aerei Farman MF.7 erano impiegati come ricognitori e come bombardieri con circa dieci piccole bombe. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la Wakamiya Maru salpò alla volta del porto cinese di Tsingtao, colonia tedesca. Il 5 settembre 1914, due Farman giapponesi sganciarono alcune bombe sulla batteria costiera. Il 13 ottobre ci fu un duello aereo fra un velivolo Taube tedesco e un Farman giapponese. Si trattò del primo scontro fra aeroplani della Prima Guerra Mondiale. In totale, durante l'assedio di Tsingtao, conclusosi con la capitolazione tedesca, gli aerei della Marina imperiale giapponese eseguirono 50 missioni e sganciarono 200 bombe, affondando anche una silurante.
Gli eventi che portarono il Giappone alla guerra contro la Germania furono abbastanza rapidi. Come alleato della Gran Bretagna, il Giappone inviò un ultimatum alla Germania il 15 agosto 1914, esigendo la resa della base tedesca di Tsingtao. Le forze navali germaniche, agli ordini del capitano di vascello Mayer-Waldeck, erano composte dalle cannoniere Jaguar, Tiger, Iltis, e Luchs, dal cacciatorpediniere S 90 e dall'incrociatore protetto austriaco Kaiserin Elisabeth. La squadra navale nipponica era comandata dal viceammiraglio Satou, ed era composta dalle corazzate Suwo, Iwami e Tango, dagli incrociatori corazzati Iwate, Tokiwa e Yakumo, dall'incrociatore protetto Tone, e circa una dozzina di cacciatorpediniere. Le unità impiegate dal Giappone non erano le più importanti e moderne che restavano invece in riserva a difesa del Giappone. Ad esempio, la corazzata Suwo era una vecchia nave russa, la Poltava, catturata a Tsushima. Le navi moderne erano risparmiate e tenute al riparo per l'impiego nelle battaglie strategiche della futura espansione dell'Impero giapponese. Scaduto l'ultimatum, il giorno 23 agosto 1914, i giapponesi incominciarono la guerra. Il primo sbarco avvenne a 150 km a nord di Tsingtao. Il 4 settembre il cacciatorpediniere Shirotaye si incagliò in una roccia e fu perduto. Il 28 settembre iniziò un massiccio fuoco contro le postazioni nemiche dalle corazzate Suwo, Iwanami e Tango, coadiuvate dalle artiglierie di terra. Il cacciatorpediniere tedesco S 90 cercò la fuga, e durante la navigazione si scontrò con l'incrociatore giapponese Takachiho che affondò con tre siluri. Tuttavia l'S 90 fu costretto all'autoaffondamento perché non aveva nessuna base dove ripararsi e rifornirsi. Il 7 novembre 1914 la base tedesca si arrese definitivamente. Le forze giapponesi erano soverchianti e controllavano vaste zone dell'Oceano Pacifico. Queste condizioni furono determinanti allo spostamento delle forze germaniche dall'Oceano Pacifico, un ritiro forzato che costò la perdita di numerose unità. La squadra navale del viceammiraglio Maximilian Johannes von Spee, che schierava gli incrociatori corazzati Scharnhorst e Gneisenau, partì dall'isola di Pagan, raggiunse Tahiti, poi l'isola di Pasqua, e superato lo stretto di Magellano, affrontò nell'Oceano Atlantico le navi britanniche. L'8 dicembre 1914 la squadra di Spee fu distrutta nella battaglia delle Falkland.
La flotta giapponese aveva raggiunto i suoi scopi avendo eliminato le navi tedesche dall'Oceano Pacifico. Essa rimase inattiva fino al 1917, quando fu richiesto il suo intervento nel Mediterraneo. Si creò infatti una condizione inaspettata. I sommergibili tedeschi del tipo U-Boot erano divenuti una minaccia terribile per il traffico marittimo. In particolare la Francia che era impegnata in una vera lotta per la sopravvivenza, col nemico già penetrato oltre i confini nazionali, non era disponibile a temporeggiare. I rifornimenti che raggiungevano la Francia sulle rotte del Mediterraneo erano indispensabili. Così Gran Bretagna e Francia chiesero aiuto al Giappone. Era anche considerata la disponibilità da parte della flotta giapponese di ottimi cacciatorpediniere, fra i più moderni e versatili costruiti in quel periodo. Allora fu composta una squadra navale comandata dal viceammiraglio Satou, costituita dall'incrociatore protetto Akashi e dodici cacciatorpediniere, fra cui ricordiamo il Katsura, il Kusunoki e l'Ume. La squadra navale penetrò in Mediterraneo operando in completa sicurezza e allontanando i sommergibili nemici dalle rotte cruciali. Notevole fu l'impatto politico e morale di questa operazione. La squadra giapponese era la prima flotta asiatica nella storia che penetrava le acque europee per condurvi operazioni militari.
Il contributo bellico del Giappone fu anche rappresentato da importanti rifornimenti militari agli alleati. Nel 1917 il Giappone fornì alla Francia ben dodici cacciatorpediniere del tipo Kaba. Essi costituirono la classe Algerien e restarono in servizio fino al 1936, anno della radiazione e demolizione. Questi successi spinsero le autorità politiche del Giappone a consolidare e rafforzare i piani di potenziamento dell'apparato militare, purtroppo con le conseguenze tragiche che ben conosciamo.


4. Il debutto dell'aeronautica

I giapponesi furono i primi a comprendere l'importanza dell'aeroplano come macchina da guerra (6). L'Impero del Sol Levante aveva intensificato la crescita dell'industria che era pari alle maggiori potenze. Il primo aeroplano a volare era stato un biplano pilotato dal capitano Tokugawa Yoshitoshi, il giorno 19 dicembre 1910. Come ben sanno gli esperti di aeronautica, ciò che è fondamentale nella costituzione di una forza aerea è l'addestramento dei piloti. I giapponesi perseguirono questo scopo raggiungendo straordinari risultati. I successi militari del Giappone furono conseguiti soprattutto grazie alla preparazione e competenza del personale tecnico e dei piloti.
La formazione dell'aviazione giapponese cominciò nel 1909, quando fu formato uno speciale comitato per lo sviluppo dell'aeronautica. Ne facevano parte personalità di spicco sia militari che civili, con forte partecipazione di scienziati e docenti universitari. I piloti erano addestrati nelle scuole straniere, e gli ufficiali inviati in Francia e negli Stati Uniti. In questo ambiente crebbe il capitano ingegnere del genio navale Nakajima Chikuhei (7), un talento dell'aeronautica che congedatosi nel 1917 fondò l'Istituto dell'Aeroplano presso la prefettura di Gunma, eppoi la società Nakajima Hikoki. Nel 1910 era volato il primo aeroplano pilotato da un giapponese. Nel 1911 l'Esercito imperiale disponeva di tre Farman, un Antoinette, un Blériot, e due Wright. Presso l'aeroporto militare di Tokorozawa nella prefettura di Saitama, venne realizzata una fabbrica per la costruzione di aeroplani su disegni originali giapponesi. Così già nel 1912 volavano i due primi aeroplani costruiti in Giappone. Perciò quando i giapponesi attaccarono la colonia tedesca di Tsingtao, fecero un uso intenso degli aerei in loro possesso. Furono utilizzati otto aeroplani, di cui quattro idrovolanti biplani. Con queste macchine furono effettuati numerosi bombardamenti sulle fortificazioni e le imbarcazioni. Gli aerei erano equipaggiati con rastrelliere per il lancio di bombe ottenute da grossi proiettili di artiglieria muniti di dispositivi direzionali. Così fu affondata una nave silurante tedesca dagli abili aviatori nipponici. Inoltre i velivoli giapponesi si scontrarono in combattimento con un monoplano tedesco del tipo Taube.


5. La fine del conflitto e gli accordi internazionali

Nel 1918 la guerra ebbe termine, e il Giappone partecipò come nazione vincitrice alla conferenza di pace di Versailles. L'Impero del Sol Levante aveva ottenuto molti benefici senza gravosi oneri e pochissime perdite. Così gli vennero assegnati i territori germanici dello Shantung, il mandato sulle isole Marshall, Caroline e Marianne (tranne Guam). Ciò irritò terribilmente gli ambienti politici statunitensi ostili all'espansionismo nipponico in Cina e nel Pacifico. D'altronde i piani giapponesi di riarmo erano preoccupanti, e l'occupazione della Cina era un fatto grave non trascurabile. Durante la guerra, il Giappone aveva addirittura inviato una richiesta diplomatica, nota come "le ventun domande", al Presidente della Repubblica cinese Yuan Shih-kai. In questo documento si chiedevano zone di influenza nei territori dello Shantung, Honan e Manciuria. Inoltre si chiedeva di inserire personale giapponese nell'amministrazione pubblica e nella polizia cinesi. Era concretamente un tentativo di trasformare la Cina in un protettorato o colonia del Giappone. Yuan Shih-kai non aveva la forza di reagire e subì l'assalto dell'Impero del Sol Levante. Soltanto gli Stati Uniti si schierarono in difesa della Cina, e cercarono con la diplomazia di limitare le pretese giapponesi. Un compromesso fu raggiunto col trattato di Washington firmato il 6 febbraio 1922. Questo accordo fissava una limitazione negli armamenti navali, e quindi una riduzione della politica espansionistica delle grandi potenze, inclusi Stati Uniti e Giappone. Il contrammiraglio Ueda Yoshitake commentò l'accordo affermando che il Giappone non era ancora pronto a una guerra con gli Stati Uniti, ma non avrebbe sopportato a lungo la prepotenza di chi voleva schiacciarlo. I giapponesi si stavano preparando a combattere per sopravvivere, così almeno credevano. Era convinzione diffusa dell'epoca che i conflitti fra nazioni per il possesso delle risorse economiche fossero inevitabili.
La Prima Guerra Mondiale si concluse senza una effettiva risoluzione dei conflitti. La Germania avrebbe presto ripercorso il cammino che portava allo scontro con la Francia e la Gran Bretagna, mentre il Giappone avrebbe invaso la Cina (8). Come si deduce facilmente, fu la politica di potenza ed espansione a determinare il corso della storia del XX secolo. Il Giappone seguì lo stesso sventurato cammino delle nazioni occidentali. Risulta ingannevole credere che questo percorso sia determinato dalle istituzioni democratiche oppure autoritarie dei paesi in conflitto. In verità, come si è visto, la motivazione che fece agire le nazioni nella Prima Guerra Mondiale fu la volontà di potenza, ossia la loro politica espansionistica e colonialista. Questa politica apparteneva alle democrazie liberali come Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, quanto ai successivi regimi fascisti di Italia, Germania e Giappone. Si evince anche quanto le democrazie accettino facilmente le collaborazioni con i regimi autoritari se utili a perseguire i loro scopi di espansione commerciale ed economica. Il Giappone, non bisogna dimenticarlo mai, fu un alleato di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale. Non si può cancellare questo fatto storico compromettente.
Le cause che scatenano le guerre sono il desiderio di possesso, la brama di potere, l'interesse economico. Le democrazie non sono immuni a questi impulsi, e la storia del colonialismo europeo ne è la dimostrazione più lampante. La Prima Guerra Mondiale è l'apice di questa mentalità che trova espressione nella politica di potenza. Il Giappone, anche se erede della tradizione orientale, condivise con pervicacia la medesima prospettiva, e divenne un artefice del progetto di modernità occidentale tanto da subirne le nefaste conseguenze.


Note

1. Anche Francis Fukuyama, in linea con la versione americana della democrazia esportata in Giappone, espone la stessa distorta visione mal documentata. La democrazia dell'epoca Taisho (1912-1926), basata su un sistema parlamentare eletto dai cittadini, viene completamente ignorata. Cfr. Fukuyama, Francis, La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1996, p.71.
2. Gli aiuti più consistenti vennero dalla Gran Bretagna, la Francia, la Germania e anche l'Italia. Per quanto riguarda l'Italia, ricordiamo che nel 1904 il Giappone aveva in servizio due grossi incrociatori corazzati costruiti in Italia: il Kasuga e il Nishin. Il Kasuga pesava 7628 tonnellate, aveva una potenza di 14800 HP erogata da motori Ansaldo, una velocità di 20 nodi, e il cannone principale di prua era calibro 254 mm, mentre due calibro 203 mm erano a poppa. Kasuga e Nishin furono impiegati nella guerra russo-giapponese (1904-1905). Il Kasuga fu determinante nel bombardamento di Port Arthur con il suo potente cannone, e rilevante nella battaglia di Tsushima.
3. Ma le forze americane erano presenti maggiormente nell'Oceano Atlantico, a protezione delle rotte per l'Europa, e quelle britanniche nell'Oceano Indiano e nel Mediterraneo, per salvaguardare le colonie, e nell'Oceano Atlantico per garantire la difesa della madrepatria. Il Giappone possedeva alcune navi sottratte alla Russia durante la guerra del 1904-1905, e ciò spiega il numero elevato di unità in suo possesso. Però la sua industria non era ancora in grado di competere con gli Stati Uniti, nonostante i buoni risultati raggiunti e l'eccellenza in alcuni casi particolari.
4. La trascrizione dei nomi delle navi giapponesi, qui adottata, segue la convenzione usata dalle pubblicazioni dello Stato Maggiore della Marina italiana. Per evitare equivoci e fraintendimenti si sono conservati i nomi nella vecchia trascrizione già nota ai lettori italiani.
5. La prima nave della U.S. Navy ad essere adattata per il trasporto e decollo di aerei fu la Langley. La Langley era una autentica portaerei con un ponte di volo completo. Gli inglesi ottennero risultati simili con la Argus e la Furious, le prime portaerei della Royal Navy. Il Giappone può però vantare il primato di aver costruito la prima portaerei progettata e realizzata per tale scopo: la Hosho (1921). A differenza delle altre unità, che erano navi modificate e adattate per divenire portaerei, la moderna Hosho era una portaerei costruita appositamente su progetto specifico. Essa partecipò alla guerra cino-giapponese, al conflitto mondiale del 1941-1945, e fu radiata solo nel 1947.
6. Il preciso e puntuale articolo di Pier Francesco Vaccari pubblicato dalla rivista "RID" è esplicativo dello sviluppo dell'aereo da combattimento in Giappone. Cfr. Vaccari, Pier Francesco, La nascita e lo sviluppo delle forze aeree imbarcate giapponesi, in "RID - Rivista Italiana Difesa", n.12, anno XXV, dicembre 2006. I progettisti giapponesi ottennero buoni risultati con gli aerei da caccia e gli aerosiluranti, spesso superiori a quelli corrispettivi occidentali. Eccellenti per per le prestazioni di velocità, qualità aerodinamiche e maneggevolezza, anche gli idrovolanti e i ricognitori. Invece, a causa delle carenze della potenza dei propulsori, furono sempre deficienti i bombardieri pesanti scarsamente protetti e con un carico di bombe insufficiente.
7. Cfr. Sgarlato, Nico, I caccia Nakajima di Koyama e Itokawa, in "Aerei nella Storia", n.50, anno VIII, ottobre-novembre 2006.
8. Il 18 settembre 1931 a causa dell'attentato a Mukden, i giapponesi invasero la Manciuria. Nel 1932 venne creato il Manchukuo, uno stato fantoccio sotto il controllo giapponese. Nel 1933 l'occupazione della Cina settentrionale fu estesa ulteriormente. Il 7 luglio 1937 con l'incidente del ponte Marco Polo iniziò la guerra cino-giapponese su tutto il territorio del paese.

Bibliografia

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Arrighi, Giorgio e Giorgerini, Giorgio, Storia della marina, Fabbri Editori, Milano, 1978.
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Halliday, Jon, Storia del Giappone contemporaneo. La politica del capitalismo giapponese dal 1850 a oggi, Einaudi, Torino, 1979.
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Martorella, Cristiano, Il concetto giapponese di economia: le implicazioni sociologiche e metodologiche. Atti del XXV Convegno di Studi sul Giappone, Cartotecnica Veneziana Editrice, Venezia, 2002.
Martorella, Cristiano, La società aperta e il caso Giappone. Relazione del corso di Storia della filosofia contemporanea. Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Genova, 1997.
Maruyama, Masao, Le radici dell’espansionismo. Ideologie del Giappone moderno, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1990.
Matricardi, Paolo, Il grande libro degli aerei da combattimento, Editoriale Domus, Milano, 2007.
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Sgarlato, Nico, I caccia Nakajima di Koyama e Itokawa, in "Aerei nella Storia", n.50, anno VIII, ottobre-novembre 2006.
Takeshita, Toshiaki, Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico, Clueb, Bologna, 1996.
Vaccari, Pier Francesco, La nascita e lo sviluppo delle forze aeree imbarcate giapponesi, in "RID - Rivista Italiana Difesa", n.12, anno XXV, dicembre 2006.
Vantaggi, Adriano, Giappone 1853-1905: Dalla fine dell’isolamento al ruolo di grande potenza, Lassa-Scalese, Genova, 1984.
Villani, Pasquale, Trionfo e crollo del predominio europeo, Il Mulino, Bologna, 1983.

Nichiren e il militarismo

Articolo sui rapporti fra Nichiren e il militarismo pubblicato dal blog Discutiamo del Giappone.

Nichiren fra nazionalismo e militarismo
di Cristiano Martorella

29 settembre 2008. Nichiren (1222-1282) fu fra i più importanti monaci buddhisti riformatori dell'epoca Kamakura, e il suo ruolo di spicco appare non soltanto nella religione, ma anche e soprattutto nella storia e nell'ideologia della nazione giapponese. Attualmente la sua figura militante è associata ad alcune organizzazioni buddhiste che ne usano il nome e gli insegnamenti senza approfondire uno studio storico del personaggio, e ne nascondono volutamente i risvolti più controversi. Paradossalmente queste organizzazioni si presentano come sostenitrici del pacifismo, senza rivelare le contraddizioni e le strumentalizzazioni che si sono operate sulla figura di Nichiren. Egli, infatti, non soltanto fu invocato nelle preghiere dei buddhisti desiderosi della pace mondiale, ma venne idolatrato dai nazionalisti giapponesi che ne fecero un modello della loro dottrina politica. La confusione operata sulla figura di Nichiren fu facilitata dagli stessi atteggiamenti intransigenti che il monaco ebbe durante la sua vita. In particolare, alcuni suoi insegnamenti risultarono adatti a giustificare la politica militarista e imperialista del Giappone. Nel 1260 Nichiren aveva presentato al governo giapponese un documento intitolato Rissho ankoku (Insegnamento corretto per la pace della nazione) in cui spiegava il suo punto di vista. Secondo Nichiren, il Giappone era divenuto l'unico paese dove si praticava ancora l'autentico buddhismo, essendo ormai stato cacciato dall'India ed essendo anche in declino nella Cina. Quindi il governo giapponese aveva la responsabilità di preservarlo intatto perché soltanto il paese del Sol Levante aveva quel dono degli dei, anzi doveva davvero impegnarsi per diffonderlo nel mondo. Per compiere questa missione, il governo giapponese avrebbe dovuto proibire tutte le altre religioni, arrestando e giustiziando i sacerdoti dei culti rivali, e radendo al suolo tutti i loro templi. Nichiren non si riferiva solo alle religioni straniere, ma anche alle altre scuole buddhiste avversarie che considerava responsabili di trasmettere un falso buddhismo. Quest'ultimo insegnamento è presente anche oggi in tutte le sette che si ispirano a Nichiren. Infatti esse dichiarano apertamente che soltanto il buddhismo di Nichiren è quello autentico, mentre ogni altra scuola buddhista è falsa. Per far comprendere meglio il rapporto esclusivo e speciale fra il buddhismo e il Giappone, Nichiren scrisse nell'oggetto di culto (Gohonzon), venerato dai suoi seguaci, i nomi di due divinità protettrici del paese del Sol Levante, Hachiman e Tensho Daijin. Quest'ultima è anche chiamata Amaterasu Omikami dagli shintoisti, ed è la dea del sole che fondò, secondo la mitologia giapponese, la dinastia imperiale. Nichiren non si fermò a dichiarare la necessità di eliminare le altre religione, ma nel testo intitolato Kaimokusho (Aprire gli occhi) spiega come la religione fosse ormai praticata con violenza, e non bisognava fermarsi alle apparenze delle parole, bensì prepararsi allo scontro fisico e all'aggressività. Questo insegnamento fu immediatamento seguito dai suoi seguaci. Il samurai Shijo Kingo raccontò nelle sue lettere di aver combattuto ferocemente contro i suoi avversari, e ciò provocò il compiacimento di Nichiren che lo incoraggiò sempre, e soprattutto gli raccomandò prudenza considerando l'irruenza dell'amico. La crudeltà degli scontri non risparmiò nemmeno lo stesso Nichiren che fu più volte aggredito. Nel 1264, in un suo viaggio ad Awa, Kagenobu Tojo tentò di assassinarlo. Ciò non scoraggiò Nichiren che riprese la sua predicazione basata sulla pratica dello shakubuku. Lo shakubuku, letteralmente spezzare e sottomettere, era un metodo di conversione basato su una veemente predicazione capace di confondere l'auditorio con la provocazione e suscitare deliberatamente l'ira. Secondo Nichiren, era un metodo efficace di conversione perché produceva uno sconvolgimento emozionale e creativo. In realtà ciò provocò le antipatie e l'ostilità delle autorità governative, mal disposte a sopportare disordini e risse, e soprattutto delle altre sette buddhiste, divenute oggetto di una critica feroce e violenta. Il risultato fu la condanna di Nichiren all'esilio per ben due volte, la prima dal 1261 al 1263 a Izu, la seconda dal 1271 al 1274 nell'isola di Sado. Nichiren giustificò le condanne che lo colpirono come una persecuzione nei confronti dei seguaci del Sutra del Loto, e ciò aggravò il suo fanatismo e la sua intolleranza. Infatti, quando fu liberato nel 1274, decise di ritirarsi in isolamento sul monte Minobu, dove visse in estrema solitudine. Durante la sua esistenza, aveva affermato la sicura salvezza attraverso la sua pratica religiosa, ma negli ultimi anni di vita incominciò a esprimere la speranza nella rinascita nel Ryozen jodo (La terra pura della montagna dello spirito), in netta contraddizione con l'insegnamento fino ad allora predicato. Nichiren aveva sostenuto che tutti i desideri espressi si sarebbero realizzati, purtroppo per lui non fu affatto così. Il governo giapponese non seguì i suoi consigli, i suoi avversari delle sette zen e jodo accrebbero il loro potere, e l'intero paese non scelse di seguire esclusivamente la sua religione. Nel Giappone contemporaneo non si professa affatto l'unica religione auspicata da Nichiren, ma è garantita la libertà religiosa a diversi gruppi di buddhisti, shintoisti e cristiani.

La vicenda esistenziale di Nichiren si è prestata a varie e contraddittorie interpretazione. In particolare, Nichiren fu considerato come il salvatore del Giappone dall'invasione dei mongoli (1274 e 1281). Egli infatti aveva predetto, insieme ad altre terribili disgrazie, un'invasione da parte dei mongoli. In realtà la profezia di Nichiren era un po' differente, avendo auspicato una punizione per il popolo giapponese se non avesse seguito la sua religione. Ma ciò non avvenne perché i mongoli furono travolti da un tifone, e questo permise ai sacerdoti shintoisti di giustificare gli eventi come un atto della protezione degli dei attraverso il kamikaze (vento divino). I seguaci di Nichiren, invece, continuarono a sostenere che l'intervento del monaco fu provvidenziale, e addirittura egli avrebbe inventato la bandiera del Sol Levante (hinomaru) e l'avrebbe consegnata alle truppe giapponesi. Questa leggenda si è conservata nell'immaginario collettivo tanto da riapparire nelle considerazioni dei militari giapponesi. Quando l'ammiraglio Heihachiro Togo (1847-1934) si apprestava ad affrontare la flotta russa, egli si recò a pregare davanti all'enorme statua di bronzo di Nichiren che si trova a Fukuoka per ricordare la profezia dell'invasione dei mongoli. La vittoria schiacciante ottenuta a Tsushima (27 maggio 1905) sembrò convalidare la credenza che il Giappone avesse dovuto dominare il mondo. Altri militari e politici incominciarono a sostenere, interpretando a loro modo l'insegnamento di Nichiren, che la missione del Giappone consisteva nel diffondere la sua civiltà nell'intero pianeta. Sfruttando il fanatismo e l'intolleranza presenti nelle affermazioni di Nichiren, lo piegarono facilmente ai loro scopi politici. Nichiren sosteneva che l'unica religione vera fosse quella da lui predicata, e soprattutto condannava il lassismo e la passività, esortando al proselitismo e alla missione di kosen rufu (diffusione della fede). Nelle mani dei militari queste idee divennero una giustificazione della brutalità della guerra, considerata come una forma di rigenerazione e trasformazione del mondo. Un altro principio espresso da Nichiren, il principio di itaidoshin (diversi corpi uno stesso cuore), era manipolato per consolidare l'autoritarismo e la sensazione che il conformismo e l'obbedienza fossero il miglior bene auspicabile.

Fra i militari che sfruttarono il nazionalismo di Nichiren, spicca la figura del colonnello Kanji Ishiwara (1889-1949), un personaggio di spicco nella storia della guerra. Egli provocò, nel settembre 1931, l'incidente alla ferrovia presso Mukden in Manciuria, che diede l'avvio alla guerra con la Cina e all'invasione dell'Asia. Ishiwara era un sostenitore dell'occupazione dell'Asia e credeva nella necessità di uno scontro armato fra Stati Uniti e Giappone. Egli si basava sull'interpretazione della profezia di Nichiren, secondo il quale ci sarebbe stata una grande guerra che avrebbe messo fine a tutti i conflitti. Inoltre Ishiwara affermava che la guerra avrebbe spianato la strada alla ricostruzione e quindi fosse un processo di civilizzazione, e inoltre avrebbe risolto definitivamente la crisi economica.
Queste idee e interpretazioni di Kanji Ishiwara non erano isolate, ma erano molto diffuse e provenivano da un clima politico estremista e fanatico affermatosi in Giappone. Rinjiro Takayama (1851-1902) proclamò l'adesione incondizionata alla teoria della superiorità della nazione giapponese, e soprattutto si orientò verso una forma di individualismo di ispirazione nietzschiana, imperniato sulla convinzione che l'emozione estatica fosse il fattore più importante nella formazione dell'uomo. Per Takayama il superuomo nietzschiano era incarnato perfettamente da Nichiren. Ancora più esplicito fu Chigaku Tanaka (1861-1939), un esponente del partito nazionalista di destra, che nel periodo Taisho (1912-1926) promosse ciò che egli definì nichirenismo (nichirenshugi). Il nichirenshugi è una dottrina sviluppata come reazione ai movimenti dei lavoratori, e che sosteneva la fedeltà allo stato nazionale (kokutai) con a capo l'imperatore. L'influenza di Chigaku Tanaka fu forte nel periodo Taisho e fu una delle fonti del nazionalismo militante giapponese. La sua ideologia lasciò segni anche in Kakutaro Kubo (1892-1944) fondatore della setta Reiyukai. Nissho Inoue (1886-1967) fu un altro fervente sostenitore del nichirenismo che interpretava il pensiero di Nichiren in chiave nazionalista e militarista. Nissho Inoue, oltre a sostenere con forza le sue idee come intellettuale e pensatore, divenne anche un attivista politico e leader del Ketsumeidan, un gruppo terroristico di estrema destra che provocò l'assassinio del ministro Junnosuke Inoue.

Anche i monaci si schierarono apertamente con il regime militare. Nell'aprile 1938 un gran numero di monaci eminenti della Nichiren Shu fondarono l'Associazione per la pratica del buddhismo secondo la via imperiale (Kodo bukkyo gyodo kai). A capo dell'associazione vi era il monaco Nichiko Takasa che sosteneva di aver raccolto circa 1800 iscritti. La Kodo bukkyo gyodo kai affermava l'unità divina del sovrano e del Buddha, e la venerazione dell'imperatore. Ciò era in netto contrasto con quanto predicato da Nichiren che affermava la superiorità del buddhismo nei confronti dello shintoismo, e la necessità che le autorità governative si adeguassero all'insegnamento della sua dottrina. Alcuni evidenziarono il contrasto e si verificò una parziale rottura fra laici e monaci che sarebbe divenuta più marcata nel dopoguerra. Infatti in quel periodo i dissidenti furono facilmente emarginati e messi a tacere con l'arresto.

Nella società contemporanea ci sono molte sette religiose e organizzazioni di laici che si ispirano a Nichiren. Quasi sempre sono in conflitto fra loro, come il caso eclatante della Nichiren Shoshu che nel 1991 ha scomunicato i membri della Soka Gakkai. Le lotte e i conflitti fra le diverse scuole che si ispirano a Nichiren dimostrano la difficoltà a interpretare correttamente i suoi insegnamenti. Nichiren predicava l'unità dei fedeli della sua religione, nel rispetto del principio di itaidoshin. Però le varietà di interpretazioni che sono state fornite indicano anche la necessità di una maggiore conoscenza storica delle vicende. Un approfondito studio che distingua una conoscenza approssimativa, o peggio, una completa ignoranza dei fatti, dalla consapevolezza della pratica buddhista. Infatti, il Buddha storico, Shakyamuni, insegnava che l'ignoranza è l'origine di tutti i mali. Riconoscere il problema è già l'inizio del cammino che porterà a risolverlo. Per questo motivo bisogna assolutamente squarciare il velo dell'illusione che ci presenta un buddhismo senza difficoltà, contrasti e contraddizioni. Questa illusione non rispecchia la storia del buddhismo che ha in sé anche molte vicende negative.


Bibliografia

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